Malasanità, la quantificazione del danno biologico

Qualche giorno fa abbiamo parlato brevemente della sentenza n. 152/2019 del Tribunale di Monza, espressasi su un caso di malasanità, con oggetti chirurgici lasciati colpevolmente nell’addome di un paziente.

Ebbene, uno dei motivi di maggiore interesse della pronuncia del giudice monzese è legato alla quantificazione del danno biologico temporaneo, per la conseguente liquidazione.

Il giudice, riprendendo il meccanismo delineato dal codice delle assicurazioni private e da altri “congegni tabellari”, afferma che l’importo deve essere predeterminato partendo dal dato tabellare (nelle tabelle milanesi è ad esempio pari a euro 98,00, in quelle romane è pari a euro 109,40) da moltiplicarsi per i giorni di inabilità assoluta.

A tale quantificazione va poi aggiunto anche il peso dei giorni di inabilità temporanea parziale, che operano una riduzione in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta. A tale nuovo calcolo si può inoltre aggiungere la presenza di un eventuale correttivo, un aumento personalizzato da sposarsi in relazione a specifiche situazioni, come l’espressione di una più intensa sofferenza, può inoltre intervenire un correttivo (il c.d. aumento personalizzato).

Nel caso in esame, a fronte della presenza di una consulenza di natura tecnica che suggeriva di limitare a non più di 45 giorni il periodo su cui poter riconoscere il danno biologico temporaneo, il Tribunale ha scelto di dare rilievo anche a tutti i giorni che si sono succediti fino all’asportazione della terza clip, allungando così in maniera rilevante il periodo da “indennizzare”.

Considerata proprio la vasta ampiezza dell’arco temporale che sussiste tra la nascita dei pregiudizi lamentati dall’attore e il momento in cui erano stati eliminati i fattori che ne erano alla base (cioè, l’ultimo intervento), ne deriva l’attribuzione di una somma significativa a titolo di risarcimento del danno biologico temporaneo. La quantificazione finale ha infatti prodotto un ammontare che è più del doppio di quanto concesso a titolo di danno biologico permanente.

Un risultato, ricordiamo infine, che non può che dipendere fortemente dalla singola valutazione del caso in esame, dalla valutazione della sua intensità e dalle motivazioni che devono essere analizzate in modo specifico dai giudici.

La stessa Suprema Corte, conclude la sentenza in esame, ha infatti avuto modo di segnalare con la sentenza n. 16788/2015, che

lievi postumi permanenti possono essere il risultato di malattie lunghe e penose

e di contro

gravissimi postumi possono essere la conseguenza d’un periodo di malattia brevissimo.

Dunque, può ben accadere, anche nell’ipotesi di postumi permanenti, non sussista in realtà alcun danno da invalidità temporanea. Si pensi, tra i vari casi, a quello legato alla presenza di lesioni che sono state patite intra partum, le quali si manifestano sin dalla nascita della persona danneggiata.

Posted on by Eleonora De Giorgio in Salute

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi